Ambiente di lavoro dannoso: l'onere della prova è a carico del lavoratore

2021-12-13 06:00:57 By : Mr. Sam Zheng

La responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale - deve essere collegata alla violazione degli obblighi comportamentali imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, in modo che spetti al lavoratore ai sensi dell'art. 2697 c.c. - che lamentano di aver subito un danno alla salute a causa del lavoro svolto - l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra uno e l'altro, non configurante, art. 2087 c.c., una responsabilità oggettiva ma che richiede un profilo della colpa del datore di lavoro. Lo ha chiarito la Cprte di Cassazione con l'ordinanza n. 38835/2021 pronunciandosi sul ricorso di un lavoratore che aveva respinto, nel merito, la richiesta di risarcimento del danno derivante da infortunio sul lavoro. Il Tribunale Territoriale, in particolare, rilevando che la dinamica dell'incidente era stata pacifica (caduta all'indietro dell'operaio attrezzista, mentre controllava con una chiave inglese la chiusura dei bulloni su uno stampo), aveva ritenuto inesistente una responsabilità del datore di lavoro, ha ritenuto che non era stata dimostrata la nocività dell'ambiente di lavoro, in quanto l'utensile di avvitatura utilizzato (sebbene manuale e non elettrico) era in uso all'epoca e non presentava alcun difetto ed era stato utilizzato correttamente; inoltre, la distanza tra i banchi di lavoro era stata ritenuta sufficiente dagli ispettori del Servizio Prevenzione Salute e Sicurezza Sicurezza sul Lavoro Spisal (anche se, al solo scopo di evitare incidenti simili, l'azienda aveva deciso autonomamente, un anno dopo, di aumentare da altri 30 cm).

Rivolgendosi alla Suprema Corte, il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2087 cc nonché degli articoli 28, comma 1, e 71, commi 2 e 6, del decreto legislativo n. 81 del 2008, 132, secondo comma, c.c. (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.c.) avendo, sin dall'impugnazione introduttiva della sentenza, ritenuto che l'opera strumento non era adeguato al lavoro da eseguire, ovvero il serraggio di bulloni da 24 mm ed essendo sempre possibile e prevedibile lo scorrimento della chiave manuale dalla testa del bullone e potendo, l'adozione di una chiave dinamometrica o di una cacciavite, per eliminare i fattori di rischio e garantire un miglior livello di tutela della sicurezza, con conseguente sussistenza di un inadempimento del datore di lavoro in assenza dell'adozione di comportamenti specifici suggeriti dalle conoscenze sperimentali; il tribunale territoriale, poi, aveva adottato una motivazione manifestamente illogica ove aveva rilevato che, pur non sussistendo inadempimento del datore di lavoro, la distanza tra i banchi di lavoro era stata aumentata di 30 cm.

La Corte territoriale aveva escluso la dannosità dell'ambiente di lavoro, rilevando - secondo quanto accertato dal giudice di primo grado - che lo strumento utilizzato dalla ricorrente, in quanto manuale, consentiva di misurare la forza, che era un consueta operazione per il dipendente che, nonostante la rovinosa caduta, aveva atteso la fine del turno per recarsi al pronto soccorso, che l'esclusione di tale operazione dal Documento di Valutazione dei Rischi doveva ritenersi corretta (come le valutazioni effettuate da Spisal ) trattandosi di un manuale operativo controllabile dal lavoratore e in assenza di violazioni normative; aveva aggiunto che si trattava di uno strumento "in uso all'epoca", che non presentava difetti e che la distanza tra i banchi di lavoro era stata ritenuta sufficiente dagli ispettori (e aveva sottolineato che, pur a fronte di una non dimostrata collezionabilità di una diversa specifica condotta cautelare, il datore di lavoro aveva deciso, un anno dopo, di allargare la distanza tra i banchi); si trattava di valutazioni di merito che non possono essere oggetto di rivalutazione nell'ambito della legittimità.

La Suprema Corte ha inoltre precisato che, nel caso si trattasse di misure di sicurezza cd “innominate”, ai sensi dell'art. 2087 c.c., la prova di scarcerazione nei confronti del datore di lavoro è in genere connessa alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta necessaria, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendo di norma al datore di lavoro l'onere della prova dell''' adozione di comportamenti specifici che, anche se non dettati dalla legge (o altra fonte equivalente), sono suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dalle norme di sicurezza normalmente osservate o sono richiamati in altre fonti simili.

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