Violazione della normativa antinfortunistica e area di rischio

2021-11-04 03:11:02 By : Mr. Terry Huang

“In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche per reato di lesioni colpose con la normativa antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva dell'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un'iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre testimonianze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l'interesse dell'ente”.

Ciò in quanto l'Ente consente l'utilizzo di un carrello elevatore per operazioni per le quali non era indicatore (sollevamento di un fascio di colonne metalliche lunghe quasi quattro metri e pesanti ciascuna Kg. 678), senza fornire attrezzature o accessori necessari per un uso in sicurezza, essendo stato il mezzo utilizzato a guisa di gru/paranco, e non per la movimentazione di carichi pallettizzati, e senza utilizzo di ganci in grado di trattenere il carico e per non avere impartito ai lavoratori idonee istruzioni per l'uso del carrello di che trattasi in relazione alle modalità d'imbraco e ai sistemi di ancoraggio, onde garantire la stabilità del carico e scongiurare la prossimità di lavoratori a terra, anche in situazioni anomale ma prevedibili.

In particolare, durante la movimentazione di un fascio di quattro colonne metalliche con le caratteristiche sopra riportate, eseguita imbracando il carico con una fascia di tessuto, le cui estremità a occhiello venivano infilate in una delle zanche sollevate del carrello, il dipendente sfortunato era intento tenere in equilibrio e orientare manualmente il carico da terra, mentre un collega si trovava alla guida del carrello; all'improvviso, una terminazione della fascia di imbraco era fuoriuscita dalla zanca, facendo cadere a terra il carico che investiva il lavoratore persona offesa al piede destro.

I giudici di merito, hanno ritenuto sussistenti i presupposti per la dichiarazione di responsabilità amministrativa evidenziando, il collegamento tra la condotta del soggetto apicale e gli assetti organizzativi dell'azienda.

Il legale rappresentante della società si era trovato, infatti, nell'occorso nella necessità di fronteggiare una specifica esigenza aziendale: si trattava cioè di eseguire il collaudo del carroponte e per farlo era necessario approntare dei pesi che erano stati individuati in quattro fasci di colonne d 'acciaio, non disponibili però nel capannone ove era installato il nuovo carroponte; non potendo utilizzare altri carroponti, per la traslazione delle colonne avrebbe dovuto fare ricorso a ditte esterne e affrontare i costi di noleggio ei tempi di attesa, da valutarsi anche in termini di perdita di tempo.

Pertanto, quando l'imputato persona fisica si determinò a usare il carrello in modo improprio e pericoloso, lo fece nell'interesse dell'ente, onde spese evitare e accelerare i tempi del collaudo e ciò a dal fatto che la società non ha improntato la sua politica al risparmio allorché si era proceduto alla dotazione di un nuovo carroponte: è stato ritenuto decisivo, infatti, che l'utilizzo del carrello aveva scongiurato costi aggiuntivi.

L'ente ricorre in Cassazione supporta la richiesta dell'art. 5 e vizio di illogicità della condotta s'inseriva riconosciuto in un contesto di eccezionalità, premessa dalla quale era logico attendersi la conclusione che , nella specie, difetterebbero sia l'interesse che il vantaggio per l'ente.

Gli Ermellini ribadiscono che il datore di lavoro deve vigilare sul rispetto delle regole di cautela da parte del dipendente, operando in conformità alle norme sulla sicurezza, con la conseguenza che se l'evento lesivo o mortale, derivato dalla tutela di una regola cautelare, rappresenta proprio la concretizzazione del rischio che la norma mirava ad evitare, e il conto rischio era prevedibile ex ante dall'autore della protezione, egli non potrà rispondere per l'evento dannoso che avrebbe dovuto prevenire attraverso l'osservanza della norma cautelare violata.

Ergo, la condotta colposa della vittima – salvo il caso in cui il comportamento sia così abnorme per la sua eccezionalità ed imprevedibilità da sfuggire completamente al controllo del garante – non esonera da responsabilità il datore di lavoro che, essendo il conferimento della normativa antinfortunistica, deve prevenire anche scelte sconsiderate da parte del dipendente indisciplinato, idonee a compromettere la sua incolumità psico-fisica.

Sul punto, gli Ermellini nel ritenere il ricorso inammissibile, precisano che vi sono differenti in giurisprudenza.

In materia di prevenzione antinfortunistica, si è nel tempo passati da un modello iperprotettivo, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello collaborativo in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia.

Contestualmente, si individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore, abbandonando il criterio esterno delle mansioni, è sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale, e si è passato, a seguito dell'introduzione del d.lgs n . 626/1994 e, poi, del TU 81/2008, dal principio dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore al concetto di area di rischio, che il datore di lavoro deve sottovalutare in via preventiva.

All'interno dell'area di rischio considerato, la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad negare il nesso di causalità ove ove la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia conto da rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.

La condanna dell'imputato persona fisica viene confermata dalla cassazione posto che il lavoratore risultava avere agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli.

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