L'agricoltura bio non è alternativa, è primaria

2022-05-27 19:16:29 By : Mr. jing Wang

Così ci risponde Sara Viti (produttrice tra le altre cose del fagiolo di Sorana, Presidio Slow Food) quando le chiediamo perché abbia scelto di rendersi la vita un po’ più complicata preferendo l’agricoltura biologica: «Non vedevo alternative – dice – alla cura della terra, di quel che ho ricevuto e che vorrei lasciare a chi se ne prenderà cura dopo di me». E l’agricoltura biologia è prima di tutto questo, grande amore per la terra e rispetto per l’altro: per l’ecosistema, gli animali, gli uomini di oggi e le generazioni che verranno. Eppure gli attacchi al modello agroecologico, al bio e a un modello che mira prima di tutto alla conservazione della fertilità del suolo, continuano incessanti.

Solo in questi giorni, Erik Fyrwald, Ceo di Syngenta – colosso multinazionale specializzato nella produzione di prodotti fitosanitari e sementi , tanto che insieme a Monsanto, Pioneer Dupont ne detiene il 53% del mercato globale – ha scaricato la responsabilità di un modello economico e produttivo predatore sul biologico, sostenendo che «il biologico danneggia il clima e promuove il consumo di terra […] La conseguenza indiretta è che la gente muore di fame in Africa perché noi mangiamo sempre più bio». Parliamo del Ceo di una corporazione che, nel 2021, il tribunale brasiliano ha ritenuto legalmente responsabile per l’omicidio di Valmir de Oliveira, contadino brasiliano conosciuto come Keno, e per il tentato omicidio di Isabel de Souza Nascimento. Non esattamente un atto d’amore.

Quello che mi preme però evidenziare oggi è come a scontrarsi sono due diverse narrative. Quella di chi mette al primo posto il benessere attuale e il futuro del nostro pianeta e quella di chi mente.

Pensiamo alla falsa narrazione che specula sull’orrore della guerra in Ucraina: per affrontare la crisi alimentare dobbiamo aumentare le rese, rivedere gli obiettivi del Green Deal e rassegnarci all’agricoltura industriale. Ma la guerra in Ucraina non fa che evidenziare la vulnerabilità dell’Europa nella dipendenza da importazioni di materie prime e di energia, ed è l’ultimo di una serie di eventi, iniziati con la pandemia di Covid e proseguiti con la siccità in Nord America che ha dimezzato i raccolti, innescando dinamiche speculative e una pericolosa ascesa dei prezzi. In un mondo sempre più esposto a shock globali e a conflitti. La narrazione imperante ci parla di scarsità delle derrate senza mai sottolineare come il 70% dei terreni agricoli europei sia destinato alla zootecnia intensiva, alle fabbriche di carne. E in Italia non va meglio: il 58% dei semi nativi è destinato ad alimentare animali, non persone. Diventa evidente la necessità di un cambiamento strutturale, dalla produzione al consumo.

Il rafforzarsi di queste narrative, in questo momento, non è un caso: la società civile in Europa chiede di andare avanti con le strategie del Green Deal, mentre l’Italia ha visto finalmente approvata la legge sul biologico. È chiaro che si vedono lesi gli interessi di chi vende il racconto che riduce la produzione alimentare a una semplice equazione di semi ibridi e trattamenti fitosanitari.

Ma la crisi climatica, l’emergenza sanitaria, la diaspora migratoria, l’insicurezza alimentare ci raccontano un’altra storia.

Si continua a invocare l’aumento delle rese, mentre ancora oggi non è stata debellata la vergogna dello spreco alimentare: un terzo del cibo prodotto viene sprecato (dati Fao)[2] , mentre cresce il numero di persone che perdono sovranità alimentare e a cui viene negato l’accesso al cibo. La radicalità dei cambiamenti climatici ha peggiorato le condizioni agricole, tanto che la Fao lancia l’allarme sulla crescita della fame che potrebbe presto coinvolgere tra i 7 e i 13 milioni di persone in più[3] .

Negli ultimi vent’anni la produzione di cibo su scala globale è aumentata di circa il 50% per le coltivazioni, la carne e il latte e di circa il 40% per il pesce, grazie alla crescita dell’acquacoltura.

Un importante studio[4] , pubblicato sulla prestigiosa rivista medica «The Lancet», ha evidenziato come reindirizzare le diete e i sistemi produttivi in senso sostenibile, basterebbe a rendere disponibile cibo sufficiente per sfamare oltre 10 miliardi di persone. E ridurrebbe di oltre il 20% il numero di morti per malattie legate a disordini alimentari, pari a circa 11 milioni di vite umane all’anno.

In Italia abbiamo circa 40.000 aziende agricole impegnate nel custodire semi o piante a rischio di estinzione, e la più vasta rete di aziende agricole e mercati di vendita a chilometro zero, con circa 10.000 punti vendita dove acquistare prodotti alimentari locali.

L’agricoltura biologica, che è uno dei settori trainanti dell’intero comparto agro-alimentare italiano con una crescita annuale dei consumi a due cifre, può ridurre il preoccupante fenomeno del consumo di suolo agricolo per altri usi (urbano, industriale, commerciale).

Non solo, l’Ispra[5]  (l’ente di ricerca del Ministero dell’Ambiente) ci dice che le filiere corte e di piccola scala riducono, insieme alle intermediazioni, le possibilità di eccedenze e sprechi. A parità di condizioni, la produttività di medio-lungo periodo delle fattorie agroecologiche rispetto all’agricoltura industriale è maggiore dal 20% al 60% e l’efficienza nell’uso delle risorse, anche ambientali, è più elevata da 2 a 4 volte.

Quanto agli sprechi in senso proprio, nelle filiere biologiche e locali i livelli delle perdite nelle fasi precedenti al consumo finale si abbattono fino a una media di appena il 5%, laddove in altri contesti questi stessi livelli oscillano fra il 30% e il 50%. Inoltre, coloro che si approvvigionano solo tramite reti alimentari alternative, in particolare, sprecano in media il 90% in meno di alimenti rispetto a chi usa esclusivamente canali convenzionali.  

Dati Eurostat e della Commissione europea ci dicono che l’agricoltura biologica è il migliore antidoto all’abbandono delle terre agricole e permette di rimettere a coltura terreni marginali o abbandonati, consentendo al contempo di prevenire il dissesto idrogeologico grazie al mantenimento della presenza e dell’attività umana in collina e in montagna.  

E ancora, uno studio dell’Università di Essex ha dimostrato, valutando 208 casi in 52 Paesi poveri, che grazie a pratiche agroecologiche si sono ottenuti aumenti di produttività anche del 90% nelle piccole aziende agricole nei casi in cui si è usata acqua con maggiore efficienza , si sono migliorate le colture della salute e della fertilità del suolo, e si sono controllati i parassiti con uso minimo o nullo di pesticidi.

Insomma, non si tratta di una idealizzazione romantica del Medioevo: la necessità di scegliere tra sostenibilità economica e ambientale, non esiste. Soprattutto in questo momento di sfide complesse, non ci possiamo più permettere una visione semplificata, la narrativa del qui e ora, del profitto costi quel che costi.

La scelta biologica, l’agroecologia sono la necessaria via non solo per nutrire il pianeta, ma anche per salvarlo. La cosa bella è che sarà una rivoluzione gioiosa, un atto collettivo di rigenerazione a partire da quella più difficile e più urgente: la rigenerazione del pensiero .

Intervento di Barbara Nappini, presidente Slow Food al Convegno organizzato da Federbio, È ora del bio, il 10 maggio a Roma.  

[1] «Secondo stime aggiornate, esistono attualmente nel mondo più di 608 milioni di aziende agricole a conduzione familiare, che occupano tra il 70 e l’80 per cento dei terreni agricoli mondiali e producono approssimativamente l’80 per cento dei generi alimentari mondiali in termini di valore». Which farms feed the world and has farmland become more concentrated ? , Fao 2021

[2] United Nations Environment Programme (UNEP). Prevention and reduction of food and drink waste in businesses and households – Guidance for governments, local authorities, businesses and other organisations, Version 1.0. FAO, 2014.

[4] Food in the Anthropocene: the EAT–Lancet Commission on healthy diets from sustainable food

[5] Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali , ISPRA

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