Natale, tutti i dolci tipici della Terra di Bari

2021-12-29 06:42:30 By : Ms. Hathaway Wang

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La pasticceria tradizionale è il paradiso della Puglia, ricchissima e variegata. Per le fonti, ci si perde in un dedalo di scritture locali: Libri di esito di monasteri femminili, diari di famiglia che raccontano anche di preparazioni che oggi sono danno più. Il tratto distintivo dei dolci pugliesi è la semplicità. Contrariamente ad altre pasticcerie regionali, quella pugliese si compone di ricette semplici e sapori schietti, dedicate solo alle grandi occasioni. Tra gli ingredienti di base, ci sono il miele, il giulebbe (più usato a Pasqua), il naspro, le mandorle, il mosto cotto (detto anche sapa), il cotto di fichi. E, naturalmente, la farina. Meno ovvia è la presenza dello zucchero, più raro perché riservato alle cucine più ricche. «La pasticceria pugliese è schietta, priva di sapori complessi perché nasce da ciò che le monache avevano in dispensa – spiega Nicola Curci, Presidente della Condotta Murge di Slow Food – I dolci venivano preparati per ripagare gli operai che svolgevano i lavori di manutenzione dei monasteri». Siamo andati alla ricerca delle tradizioni locali, tra cucine professionali, pasticcerie e quaderni di nonne e zie. Quindi, tra gli ingredienti, potreste leggere qualche dose “a sentimento”: anche questa è tradizione. Non resta altro da fare che mettersi al lavoro.

Luigi Sada, autore del libro La cucina pugliese in oltre 400 ricette, definisce le Cartellate il fiore all'occhiello dei dolci pugliesi, anzi baresi: sono «il simbolo dell'allegria, dell'esultanza, della festa». La loro origine ed etimologia restano sconosciute. Lo studioso di gastronomia pugliese fa risalire la prima notizia delle cartellate al documento del 1762 "Esito di Provisioni, Pasti e spese nelle domeniche", dove a prepararle erano le monache. In più, a Bari le si condiscono con il mosto cotto o il cotto di fichi, tipici di questa terra, lasciando l'uso del miele alle terre salentine. Molte ricette riportano anche l'uso di uova e di lievito di birra, ma la versione tradizionale, quella nata nelle cucine più povere, non include questi due ingredienti. In molte case coratine le Cartellate sono fatte ancora così.

Impastare tutti gli ingredienti, mescolando la farina con l'olio. Aggiungere il vino, facendo attenzione affinché l'impasto non diventi liquido. Dopo aver ottenuto un impasto omogeneo, lasciar riposare per 30 minuti. Al termine del riposo, con l'aiuto di una macchina per tirare la sfoglia, realizzare una lingua di pasta molto sottile. Con l'aiuto di una rondella dentellata tagliare strisce lunghe circa 20 cm. Con la punta delle dita, piegare in due la striscia, pizzicando l'impasto a distanza di 3 cm. Si può anche tagliare la pasta formando dei fiocchetti. Lasciar asciugare le cartella crude per una notte. Il giorno dopo friggere le cartellate in olio bollente per qualche minuto, finché non saranno dorate. Scolarle su carta assorbente, lasciar raffreddare. Mettere in un tegame il mosto cotto o il cotto di fichi, portare a bollore a fuoco medio. Spegnere e immergere le cartellate per condirle. Al termine dell'operazione spolverizzarle con zucchero semolato.

Dal 13 dicembre in poi, in tutta la Puglia si preparano gli Occhi di Santa Lucia. Sono dei taralli friabili e profumati, ma senza zucchero, coperti da una dolcissima glassa di zucchero a velo e acqua (per i più temerari, si può anche usare il tradizionale giulebbe a base di albume). C'è chi vi aggiunge una scorza d'arancia o della cannella sia all'impasto sia alla glasse, ma la versione tradizionale prevede l'aggiunta di semi di anice. Basta conservarli in una latta colorata per poterli gustare anche fino all'epifania.

Queste sfogliatelle sono chiamate anche rose e sulla tavola natalizia delle famiglie di Canosa di Puglia non mancano mai. Si tratta di gustosissimi pasticcini con mandorle, confettura di mele cotogne, cioccolato fondente in gocce, uvetta e vino bianco.

Italicos Facebook Sfogliatelle di Canosa

Impastare la farina con le uova, lo zucchero, l’olio ed il vino fino ad ottenere una pasta compatta e ben lavorata. Mescolare tutti gli ingredienti per la farcitura - fatta eccezione della marmellata - in una ciotola capiente. Tenere da parte 1/4 degli 800 g di zucchero. Con un matterello, o con una macchina per pasta modello Imperia, stendere delle sfoglie sottilissime di impasto e ricavarne dei rettangoli di circa 25 x 10 cm. Intingere nell’olio d’oliva un pennello per dolci e ungere leggermente le sfoglie. Mettere il ripieno al centro della sfoglia, per lungo, aggiungendo dei fiocchetti di marmellata e una cucchiaiata di composto di mandorle e aromi vari preparati in precedente. Piegare ciascuna sfoglia, portando i due lembi più lunghi al centro del rettangolo sovrapponendoli. Saldare le due estremità in modo da formare dei rotolini da avvolgere a chiocciola. Poggiare le sfogliatelle su una leccarda foderata con della carta forno, spennellarle con poco olio sulla superficie e spolverarizzare con dello zucchero semolato. Cuocere in forno a 180° per 15-20 minuti.

Ad Andria li chiamano così, Prezzelli, ma non sono altro che Mostaccioli, attualizzati agli ingredienti di base della cucina del nord barese. Noti sin dai tempi dei romani, il loro nome chiamava in causa il vincotto già dal nome mustaceus, cioè "simile al mosto". Ecco come prepararli.

Tritare le mandorle, riscaldare 200 ml di vincotto e sciogliere all’interno l’ammoniaca. Setacciare il cacao e la farina in una ciotola. Poi aggiungere zucchero, olio, ammoniaca disciolta nel vincotto, buccia di limone grattugiata, gocce di cioccolato e ancora vincotto. Amalgamare tutti gli ingredienti fino ad ottenere un panetto omogeneo e compatto. Una volta messo su una spianatoia, l’impasto dovrà essere trasformato in un cilindro, con la superficie leggermente appiattita. Dall’impasto ottenuto ricavare dei piccoli triangoli della lunghezza di 5-6 cm, sui quali cospargere - a piacere - un po’ di zucchero. Infornare i dolci in forno statico a 200° per circa un quarto d’ora. Poi, una volta sfornati, lasciateli raffreddare e servire. Vanno conservati in una scatola a chiusura ermetica, oppure in un contenitore di latta.

Sciogliere lo zucchero nell’acqua in un pentolino. Unire il cioccolato fondente ridotto a pezzetti e lasciarlo sciogliere, mescolando continuamente fino a quando non si ottiene una glassa liscia e completamente priva di grumi.

Le pastarelle prendono le mosse dai biscotti al burro della pasticceria tradizionale, ma in Puglia cambiano Dna grazie all'impiego dell'olio extra vergine di oliva. La tradizione andriese li arricchisce con il giulebbe.

Mescolare sulla spianatoia farina, uova, olio, zucchero e lavorare l'impasto. Poco prima di concludere la lavorazione, aggiungere una miscela di latte tiepido in cui si sarà disciolto il contenuto della bustina dell'ammoniaca. Lavorare fino a ottenere un impasto omogeneo. Stendere l'impasto fino ad ottenere una sfoglia alta mezzo centimetro. Ricavare dei biscotti di varie forme. Cuocere in forno statico a 180° per 15 minuti.

Con il fuoco al minimo, mescolare lentamente finché la miscela "filerà al dito". A quel punto, togliere dal fuoco e ricoprire i biscotti freddi.

Sada scrive che «l'odierno sosamello deriva dalle focacce confezionate con semi di sesamo e anche con miele nelle feste sacre a Demeter e Kore; erano il simbolo dell'aidoion muliebre». Qui vi proponiamo la ricetta tipica come viene realizzata a Ruvo di Puglia.

In una ciotola mescolare vin cotto, olio e zucchero. Aggiungere poco per volta le scorze grattugiate di limone e arancia, le due bustine di cannella, i chiodi di garofano, il cioccolato fondente a pezzetti, le mandorle spellate e abbrustolite a pezzetti e mescolare. Aggiungere poco per volta, la farina: mescolare fino a quando il composto non è solido. Aggiungere l’ammoniaca (o le buste di Pan degli Angeli). Cuocere in forno statico preriscaldato a 180° per 15 minuti. Una volta cotto, lasciar raffreddare il dolce e tagliarlo secondo le forme desiderate.

Il Panvinesco, chiamato in dialetto Pane Fni'scke è un dolce la cui preparazione si perde nella notte dei tempi. Secondo il gastronomo Sandro Romano le sue origini potrebbero risalire al 1200, anche se la prima ricetta scritta è del 1680. In quel periodo Pacichelli viaggiò in Capitanata e nel resto della Puglia, documentando nel suo libro Il regno di Napoli l'esistenza di un certo pane di farina grossa (semola, per l'appunto) chiamato Schiavonesco. All'interno c'erano cannella ed altri aromi. Veniva offerto come parte della dote delle fanciulle da marito. Il cioccolato però è venuto dopo. La tradizione più solida di questo dolce è radicata a Bari. Come scrive Romano nel volume Assaggio di Puglia, nel trascrivere la ricetta che sua nonna gli ha tramandato, ha volutamente omesso le quantità, rispettando l'unità di misura privilegiata delle cucine domestiche: il sentimento.

Mettere il vincotto in una pentola e, quando inizia a bollire, aggiungere il cioccolato, le nocciole, le noci, le mandorle, le scorze degli agrumi, la cannella e i chiodi di garofano tritati. Aggiungere il semolino in quantità tale da formare una specie di polenta dura. Cuocere per una decina di minuti e rovesciarlo su un piatto largo, spolverizzato di zucchero. Formare un panetto alto 2-3 cm. Si può aggiungere più cannella, se la si apprezza, e decorare la superficie con codette di zucchero colorate. Una volta freddo, servire tagliato a fette.

I Bocconotti vantano origini molisane e calabresi, ma in Puglia è cambiato il suo contenuto. Se a Bari vengono riempiti di crema e marmellata all'amarena, quelli più famosi sono fatti a Bitonto. A renderli celebri, le monache benedettine, che li hanno riempiti di ricotta. Oggi la ricetta la riproduce alla perfezione lo Smic Cafè di Bitonto.

Vanillina e zucchero a velo mescolati per spolverizzare i bocconotti

Impastare gli ingredienti sino ad ottenere un impasto omogeneo. Prendere degli stampini di alluminio a forma di tronco di cono, imburrare e infarinare i bordi e sovrapporre l'impasto a tutto il perimetro. Riempirli con ricotta. Cuocere in forno statico a 180° per 30 minuti. Lasciarli intiepidire e poi spolverizzarli di zucchero a velo.

San Leonardo è un santo molto caro alla città di Molfetta, tanto che la popolazione gli ha dedicato dei piccoli calzoncini, ripieni di fichi, vincotto e frutta, un dolce prelibato che viene servito in occasione del Natale. Lo chef di PepeNero Bistrot, Daniele Antonelli ha rispolverato le sue origini molfettesi e ci ha donato la ricetta racchiusa nell'antico ricettario I dolci natalizi molfettesi nel contesto enogastronomico pugliese di Giacomo Giancaspro.

Prendere i fichi secchi, tagliarli a piccoli pezzi e metterli iin una casseruola con del vincotto. Cuocere a fuoco lento fino a ottenere un composto omogeneo, mescolando frequentemente. Al raggiungimento della consistenza desiderata, raffreddare e aggiuingere la polpa tritata della mela e della pera, il cioccolato tritato, la buccia d'arancia grattugiata, la cannella e i chiodi di garofano in polvere. Mescolare e amalgamare bene.

Disporre la farina sulla spianatoia, creando una fontana. Aggiungere zucchero, olio e vino bianco, lavorando con delicatezza fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Lasciare a riposo per qualche minuto. Stendere la pasta con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile. Disporre al centro il ripieno e chiudere con la stessa pasta. Modellare a forma di cuscinetto, avendo cura di eseguire alle estremità un'orlatura tipica di tale preparazione, grazie a una rotella dentellata. Pungere con un ago o una forchetta i calzoncini in superficie in modo da evitare il gonfiarsi e lo scoppio durante la cottura. Infine, disporre i calzoncini su una placca nera precedentemente oliata e cuocere in forno statico preriscaldato a 150° per 20 minuti.

Dallo stesso ricettario estraiamo la ricetta dei Calzoncini di Gesù Bambino, diffusissimi in tutto il nord barese, da Ruvo di Puglia a Bitonto e oltre. L'impasto è identico ai Calzoni di San Leonardo. A cambiare è il ripieno. Nella versione diffusa ad Acquaviva delle Fonti e raccontata da Aldo Palazzo, chef patron di La Tana di Aldo, il ripieno si riduce a cinque ingredienti – mandorle, zucchero, acqua, buccia di limone, polvere di cannella – e non viene usato il giulebbe.

Bollire le mandorle, pelarle e schiacciarle fino a ridurle a una sfoglia sottile. Aggiungere lo zucchero e gli aromi, amalgamando l'impasto con del succo di limone. A piacere, aggiungere qualche bicchierino di liquore o rosolio.

Disporre la farina sulla spianatoia, creando una fontana. Aggiungere zucchero, olio e vino bianco, lavorando con delicatezza fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Lasciare a riposo per qualche minuto. Stendere la pasta con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile. Disporre al centro il ripieno e chiudere con la stessa pasta. Modellare a forma di cuscinetto, avendo cura di eseguire alle estremità un'orlatura tipica di tale preparazione, grazie a una rotella dentellata. Pungere con un ago o una forchetta i calzoncini in superficie in modo da evitare il gonfiarsi e lo scoppio durante la cottura. Infine, disporre i calzoncini su una placca nera precedentemente oliata e cuocere in forno statico preriscaldato a 150° per 20 minuti.

 Procedimento per il giulebbe

Mescolare acqua e zucchero e cuocere a fuoco medio, continuando a rimestare lo sciroppo. Il termine della preparazione avviene quando prendendo la miscela tra pollice e indice, il mix formerà un filamento resistente. Mescolare lo sciroppo a dell'albume montato a neve, avendo cura di incorporare gli ingredienti con un cucchiaio di legno, girando dall'alto in basso. A quel punto immergere i calzoncini e, con l'aiuto del cucchiaio di legno, ricoprire completamente i dolci.

Da fine novembre e per tutto il periodo natalizio nelle cucine di Terlizzi si friggono le pettue nguvatezze. Oltre al tradizionale sapore di fritto, le piccole palline di pasta cresciuta si vestono a festa con zucchero o vincotto.

Impastare gli ingredienti e lavorarli con la stessa tecnica con cui si assembla l'impasto della focaccia molle. La consistenza deve essere morbida. Far lievitare fino al raddoppio. Friggere in olio caldo e abbondante, rigirando fino alla doratura. Poi ripassarle nello zucchero o nel vincotto.

reg. n. 7/05, Trib. di Trani in data 02/05/2005

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